Aigner
E così Christian (Beck ndr) si tuffa nel passato.
Dentro quella Germania del 1970, quando il corpo era appena sussurrato dagli abiti in georgette e chiffon e i colletti abbottonati.
Quando le donne erano sofisticate e raffinate nei loro chignòn alti sulla testa. E le scarpe sottolineavano le caviglie sottili che affioravano da gonne che mai svelavano il ginocchio.
Quando la seduzione era fatta di sobrietà ed eleganza, di tessuti impalpabili e leggeri, di colori filtrati e mai presuntuosi, di linee vanitose e altere quanto basta perchè fossero femminilità pura.
Di gioielli, che impreziosivano i colli nudi, e della pelle chiara ed etera sul viso appena truccato da una linea bianca e delicata di eyeliner.
Lui coglie quelle donne, le studia, ne beve il nettare. Le elabora.
Come un’araba fenice, le fa risorgere dallo scrigno sacro della Maison. E le celebra. Come icone e leggende imperiture mai quanto adesso contemporanee.
Per ribadire che Aigner è così: cinquantenne e favoloso. Come loro.